Indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato e busta paga

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imageNon è infrequente che molti imprenditori non effettuino i pagamenti delle retribuzioni con regolarità, entrando in un meccanismo che non ha solo conseguenze civilistiche ma, sempre più spesso, anche di natura penale.

Nello specifico la Cassazione ha vagliato un caso in cui un datore di lavoro che aveva attestato (falsamente) in busta paga di aver corrisposto a due lavoratrici gli assegni familiari (che sono a carico dell’istituto previdenziale) per poi chiederne il rimborso mediante conguaglio con altri crediti previdenziali, tutto ciò ai sensi dell’art. 1 D.L. 663 del 30 Dicembre 1979 (conv. con modificazioni dalla L. n. 33 del 29 Febbraio 1980).

Per i lavoratori dipendenti l’indennità viene anticipata in busta paga dal datore di lavoro il quale, assieme all’ammontare della retribuzione e della contribuzione, ne dichiara la corresponsione in un apposito modello mensile, ponendo a conguaglio detti pagamenti con le somme dovute all’istituto previdenziale. Ma qual è la conseguenza per il datore di lavoro che non versa la somma dichiarata a titolo di indennità di maternità?

La corte, nella sentenza analizzata, cita i precedenti orientamenti secondo cui la condotta andava ascritta rispettivamente:

  • Alla fattispecie di truffa e alla violazione dell’art. 37 L. 689/1981 (omessa o falsa registrazione o denuncia contributiva) realizzandosi, mediante la falsa attestazione, un ingiusto profitto e non una mera evasione contributiva;
  • All’ipotesi di appropriazione indebita in quanto il lavoratore può rivolgersi al solo datore di lavoro per ottenere il beneficio, non anche all’INPS che, pertanto, non riceve un danno patrimoniale, requisito invece della truffa;

Di parere diverso è l’odierno Supremo Collegio che ritiene configurabile l’ipotesi di cui all’art. 316 ter c.p. che cosi recita:

[I]. Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
[II]. Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a 3.999,96 euro si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da 5.164 euro a 25.822 euro. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.

Sentenza n. 48663 ud. 17/10/2014 – deposito del 24/11/2014 – Pres. Fiandanese – Rel. Lombardo

Il ragionamento del giudice di legittimità si basa sulla natura del reato, che, a differenza della truffa ex art. 640 ter, è di pericolo concreto; oltretutto la falsa attestazione obbligatoria è fatto strutturalmente diverso dagli artifizi e raggiri tipici della frode, oltre ad essere assente l’induzione in errore.

Citando precedenti sentenze, la Suprema Corte ha, in contrasto con la giurisprudenza precedente, ritenuto configurabile l’art.316 ter c.p, quale norma di chiusura tendente a punire quelle condotte decettive in danno della P.A. ma che non rivestono gli elementi tipici della truffa aggravata ex art. 640 ter c.p.

Nello specifico l’ente erogatore non viene indotto in errore mediante la falsa rappresentazione dei suoi pesupposti,  ma prende atto solo della formale attestazione del richiedente che beneficia di una compensazione non dovuta.

In buona sostanza, argomentando ex adverso, tutte le condotte decettive mediante l’utilizzo di documenti o attestazioni false, o silenzio antidoveroso, che non si risolvano in artifizi e raggiri, induzione in errore e, soprattutto, danno per la persona offesa, vanno ascritte alla fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche, non solo se si tratta di conferimenti in danaro ma anche di esenzioni, come ad esempio quelle socio assistenziali o sanitarie.

Detto ciò, il principio di diritto enunciato in sentenza così recita:

Integra il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter cod. pen., e non quello di truffa o di appropriazione indebita, la condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto ai dipendenti somme a titolo di indennità per malattia, maternità o assegni familiari, ottiene dall’I.N.P.S., su cui grava l’onere finale del pagamento di tali importi, il conguaglio delle somme indicate fittiziamente come versate con quelle da lui dovute all’istituto.

La sentenza può essere scaricata qui sotto:

 

Cass. Pen. Sez. 2 Sent. Num. 48663/2014