Truffa on line: la Cassazione riconosce la circostanza aggravante della c.d. "minorata difesa"

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I giudici della Suprema Corte, in una recente sentenza, hanno trattato il tema della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 C.P. (espressamente richiamata dall’art. 640, comma 2, n. 2 bis C.P.) nell’ipotesi di truffa svolta mediante il mezzo telematico.

La decisione degli ermellini parte dal ricorso del P.G. in ordine del mancato riconoscimento, da parte del Tribunale della Libertà di Brescia, dell’aggravante di cui sopra nei confronti di un indagato il quale, secondo una pratica fraudolenta abbastanza diffusa, pubblicava alcuni annunci on line chiedendo il preventivo pagamento di un oggetto (solitamente materiale tecnologico) per poi non spedirlo.

Il riconoscimento dell’aggravante della minorata difesa appariva dirimente in ordine all’applicazione o meno dell’ordinanza cautelare inframuraria.

Il ricorso del Procuratore Generale era fondato sul fatto che la condotta censurata fosse, alla stregua della contestazione provvisoria, caratterizzata da una maggiore offensivista concretizzatasi sulla conclusione del contratto di compravendita “a distanza”.

Come consolidata giurisprudenza e dottrina sostiene, la truffa c.d. “contrattuale” comporta due fasi: un antefatto non punibile, ossia la conclusione di un negozio giuridico (cioè l’artifizio) e il conseguente raggiro, ossia la mancata spedizione del bene con relativo danno patrimoniale.

Detto ciò, la Corte Territoriale sosteneva che, benché la condotta fosse ascrivibile totalmente all’ipotesi di truffa di contro non si poteva ravvisare la circostanza della minorata difesa poiché la valutazione “in concreto ” non permetteva di evidenziare la particolare vulnerabilità del soggetto passivo grazie a cui l’agente traeva l’indebito vantaggio patrimoniale, con evidente sbilanciamento verso la sola vittima della valutazione della condotta punibile.

Il ricorrente, al contrario, censura la summenzionata interpretazione, premettendo che, invero, le modalità tipiche della frode on line rivestono un carattere di maggiore insidiosità rispetto agli altri casi di truffa: argomentando a contrario si snaturerebbe l’effetto general preventivo della novella di cui all’art. 3, co. 98 L. 15 Luglio 2009, n. 94.

La S.C. accoglieva in toto la censura del P.G. partendo dall’analisi letterale dell’art. 61, co. 1, n° 5 c.p. secondo cui  la minorata difesa si configura allorquando l’agente abbia

“approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”.

Ne consegue che le predette circostanze possono concretizzarsi in uno stato di debolezza fisica o psichica preventivamente conosciute dall’agente e tali da ostacolare la reazione delle persone offese o della Pubblica Autorità, agevolando la commissione del reato (cfr. Cass. Pen. Sez. 2, 13933 del 07/01/2015 in relazione all’esercizio abusivo della professione di psicologo, psicoterapeuta o psichiatra).

La Corte ha, correttamente, rifocalizzato la valutazione della condotta sull’elemento psicologico e sul fatto tipico che da esso ne deriva, proponendo, tuttavia, un distinguo.

Difatti, le circostanze “tempo” tali da aver favorito la condotta dell’agente attraverso cui si sono concretizzati gli artifizi e i raggiri, non paiono ravvisarsi, poiché il capo di imputazione provvisorio ha fatto, genericamente, riferimento agli orari in cui sono state commesse le presunte condotte, non valorizzando sufficientemente le ragioni di una maggiore offensività (“avendo commesso il fatto attraverso contatti telematici e a distanza che non permettono alla persona offesa di controllare l’idoneità e la serietà dell’interlocutore/contraente né l’esistenza del bene offerto“)

D’altro canto su questo specifico tema la casistica parla di furti o rapine commessi in orario notturno. (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 32244 del 26/01/2015, ex multis).

Invece, la minorata circostanza di “luogo” è serenamente ravvisabile nella presunta condotta dell’imputato in quanto, presupponendo che Internet rappresenti un non – luogo fisico (o meta- territorio parafrasando i giudici), l’unico criterio per individuare il locus commissi delicti è, in analogia alla giurisprudenza sull’art. 615 ter c.p., il posto da cui l’agente ha sferrato l’attacco telematico (cfr. Cass. Pen. SS.UU. Sent .n . 17325/2015  sull’accesso abusivo a sistema informatico e telematico).

Utilizzando tale giurisprudenza al caso di specie, sarà competente il Tribunale del luogo in cui si trovava l’agente nel momento in cui ha realizzato il profitto, quindi presumibilmente ad una distanza tale da non permettere alla persona offesa di valutare sia la serietà del venditore, che l’effettiva disponibilità del bene.

Tale circostanza di fatto permette all’autore di porsi in una posizione di maggior favore rispetto alla vittima, celando al sua vera identità e rendendosi successivamente irreperibile.

Rispetto alla truffa semplice, ossia la condotta di chi mette in vendita un bene di cui non si vuole effettivamente privare, il fatto è arricchito dall’elemento “distanza” per le ragioni sovra esposte.

Infine, la S.C. esclude categoricamente che la volontaria esposizione della vittima a questa tipologia di truffe, ossia una mancata diligenza, basti ad elidere la predetta circostanza aggravante, richiamando ancora la precedente giurisprudenza (cfr. Cass. Pen. Sez. 2, n. 42941 del 25/09/2014 ex multis).

Premesso ciò, la Cassazione rinviava gli atti alla Corte territoriale per il nuovo riesame.

Per scaricare la sentenza:

Cassazione Penale – Sentenza n. 43705 ud. 29/09/2016