Sul reato di stalking la Suprema Corte precisa il termine per la proposizione della querela

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oppression-458621_640La Corte di Cassazione, recentemente, ha precisato che i termini di querela per il reato di cui all’art. 612 bis c.p., decorrono dal momento della “consumazione del reato, che coincide con “l’evento di danno” consistente nella alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante stato di ansia o di paura, ovvero con “l’evento di pericolo” consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto.”

Per facilità di comprensione è necessario riportare la norma incriminatrice:

Art. 612 Bis c.p. – Atti persecutori

Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, e’ punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumita’ propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena e’ aumentata se il fatto e’ commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che e’ o e’ stata legata da relazione alla persona offesa ovvero se il fatto e’ commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena e’ aumentata fino alla meta’ se il fatto e’ commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilita’ di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto e’ punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela e’ di sei mesi. La remissione della querela puo’ essere soltanto processuale. La querela e’ comunque irrevocabile se il fatto e’ stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto e’ commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilita’ di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonche’ quando il fatto e’ connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

Il ragionamento dei giudici di legittimità (facendo proprie le motivazioni della Corte d’Appello) si basa sull’assunto che, essendo il reato in questione è di tipo “abituale” pertanto non è necessario indicare in modo preciso e puntuale i tempi e luoghi delle singole condotte susseguitesi nel tempo, essendo sufficiente che le fasi o i momenti in cui si articola la condotta siano sufficientemente determinati; riallacciandosi a precedenti pronunzie (Cass., sez. V, 25/10/2012, n. 7544 ex multis) si afferma che rileva la collolocazione temporale di massima dei comportamenti peresecutori e i loro effetti sulla persona offesa.

La presunta indeterminatezza del capo di imputazione (e quindi della nullità della citazione a giudizio dell’imputato) non si verifica quando vi sono elencati, con adeguata specificità, i tratti essenziali della condotta, tali da permettere una difesa.

In ordine alla questione principale, la S.C. tende a ribadire che la struttura della norma incriminatrice di cui si tratta permette di affermare che non ci si trovi di fronte ad un reato di mera condotta, ma innanzi ad un reato di danno consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita di vita ovvero in un perdurante stato d’ansia o paura, oppure, ancora, in un fondato timore (reato di pericolo conreto, ndr.) per l’incolumità propria o dei propri cari: è quindi sufficiente il contretizzarsi di tali eventi perchè il reato si consideri perfezionato. (in astratto le sole condotte che non seguano a nessuno di questi eventi può configurare un tentivo punibile ex art. 56 c.p.)

Nè consegue che solo a seguito di uno di questi eventi alternativi decorre il termine di sei mesi (speciale per questa tipologia di reati) utile per l’esercizio della querela ai sensi dell’art. 124 c.p. (dal giorno della notizia del fatto).

La difesa dell’imputato aveva anche denunziato l’intempestività della querela indicando come dies a quo quello dell’inizio degli atti persecutori, non considerando che l’imputanto aveva perseguito nella sua condotta anche a seguito di ammonimento del Questore ai sensi dell’art. 8 D.L. 11/2009, che ritengo sia utile riportare:

Art. 8. Decreto Legge n. 11/2009 – Ammonimento

Fino a quando non e’ proposta querela per il reato di cui all’articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 7, la persona offesa puo’ esporre i fatti all’autorita’ di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta e’ trasmessa senza ritardo al questore.
Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti e’ stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale e’ rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore valuta l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.
La pena per il delitto di cui all’articolo 612-bis del codice penale e’ aumentata se il fatto e’ commesso da soggetto gia’ ammonito ai sensi del presente articolo.
Si procede d’ufficio per il delitto previsto dall’articolo 612-bis del codice penale quando il fatto e’ commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo.

Atteso ciò, ed assieme al rigetto di altre censure, la corte confermava la condanna per l’imputato.

La sentenza (Cass. Pen., sez. V, n. 17082 ud. 05/12/2014, Pres. Dubolino, Rel. Guardiano) è qui scaricabile.