In memoria del Prof. Avv. Vincenzo Panuccio

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foto_panuccio3Correvano gli anni ’90 ed un tiepido vento di primavera iniziava a scaldare lo Stretto di Messina, ed io, come tanti colleghi, mi incamminavo verso l’istituto di Diritto Privato dell’Università omonima per sostenere l’esame di diritto commerciale. Non ero particolarmente teso, avevo studiato abbastanza bene o forse ero semplicemente incosciente.

Sta di fatto che dopo un prima parte di esame sostenuta con l’assistente, mi sedetti con il titolare della cattedra, il Prof. Vincenzo Panuccio. Lui aprì il libretto, lesse il mio nome  e i suoi occhietti  indagatori si posero su di me, «Cartisano?, lei deve sapere che …»  e cominciò a parlare di  storie ingiallite sui miei avi. Giusto qualche battuta e iniziò a farmi qualche domanda sulla parte speciale, i suoi famosi “quaderni” , in cui, alternando fra l’essere maestro di diritto e maestro di vita, affrontava tematiche giuridiche, anche complesse, per poi darle in pasto a noi studenti.

Questo era il Prof. Panuccio: un uomo dalla conoscenza enciclopedica ma che sapeva rendere anche le questioni più impegnative digeribili a tutti.

Per quanto mi riguarda la divulgazione scientifica non è affar di tutti, alcuni sono geniali ma incomprensibili, altri incapaci e quindi venditori di aria fritta.  Invece in lui stava l’equilibrio difficoltoso di chi è consapevole di uno studio “matto e disperatissimo” e l’esigenza di farsi capire anche da un bambino. E come un bambino era curioso, sottile, ironico: usava spesso la metafora come espediente linguistico, un mezzo diretto e comprensibile ai più.

Tanti i suoi ricordi durante i convegni di formazione, primo fra tutti l’impulso che diede negli anni’70 per l’istituzione della Corte d’Appello di Reggio autonoma da quella di Catanzaro, facendo da “paciere” fra i due ordini professionali, smorzando la  tensione generata da “Reggio capoluogo” di quegli anni di piombo.

Lo vedevo spesso appassionato sostenitore della cultura e  un amante, deluso troppe volte, della sua città, Reggio Calabria, soprattutto da Presidente dell’Associazione “Amici del Museo”: per lui la cultura era soprattutto “memoria” dei nostri avi, delle nostre origini e disperdere la memoria significa costruire un futuro senza basi. Già perché, da visionario, anni or sono aveva capito le potenzialità della tecnologia, che utilizzava con una naturalezza che non ti aspetti da un uomo d’altri tempi.

E giusto per parlare di informatica giuridica, c’è un aneddoto che mi piace sempre raccontare di lui.

Anni fa ho relazionato come docente ad un Master di II Livello sulle nuove tecnologie e, casualmente, il Prof. Panuccio avrebbe dovuto farlo nelle ore successive: ebbene lui arrivò con largo anticipo (mosca bianca fra i professori universitari), entrò nell’auletta e si sedette in prima fila. Ovviamente gli dissi di stare in cattedra con me, ma lui con un cenno disse di no e, sempre con quegli occhietti chiari, seguii la mia relazione, talvolta prendendo appunti, talvolta registrando con un piccolo registratore digitale (aveva l’abitudine di registrare tutti i suoi interventi, ndr). Finii il mio intervento, e lo ringraziai per la presenza, e così iniziò la sua lezione.

Ebbene, stessa cosa fece sua figlia Franca, anche lei docente anniversaria ed avvocato, qualche anno dopo: evidentemente prima di parlare bisogna sapere ascoltare e ad loro veniva naturale.

Ora che l’Avv. V. Panuccio non c’è più ci mancherà forse, più delle altre cose, il suo rigore morale e la sua altissima sensibilità (anni fa tornando da Catanzaro con un giovane collega che volle come relatrice ad un convengo vide un gravissimo incidente stradale e disse «Poveri genitori che dovranno piangere quei figli…») ma forse, più di tutte, ci mancheranno le sue metafore e la sua ironia, di cui, oggi più che mai, abbiamo bisogno perché, complice l’uso distorto dei nuovi mezzi di comunicazione, la polemica, nel senso greco di “polemos” cioè guerra, è solo strumento per umiliare ed insultare l’avversario e non per produrre sintesi dialettica.

Ed, infine, un suggerimento alla Città di Reggio Calabria: intitoli una strada a lui, magari vicino al Tribunale o all’Università, che per lui erano la seconda casa, non faccia passare trent’anni, né aspetti richieste formali, per non disperdere la memoria di uomini come lui che Reggio genera ogni 100 anni.

Riposi in pace Professore, già la vedo discernere di diritto con Calamandrei, Pugliatti,  Chiovenda, Rocco, Cicerone e tutti i gli altri fari che noi “studenti di diritto”  ci sforziamo di scorgere nel buio della ragione.

Immagine tratta da www.vincenzopanuccio.it